L’altra sera, a casa di un amico, mi è capitato di vedere il film quinto potere. Purtroppo non si trattava del capolavoro diretto da Sidney Lumet, ma del recente film su Julian Assange e la diffusione di informazioni riservate da parte di Wikileaks.
La filosofia portata avanti da questa organizzazione è che se governi, istituzioni finanziari e forze armate nascondono la verità dei fatti non può esserci una vera democrazia. Piuttosto essenziale, ma assolutamente condivisibile.
Purtroppo, mentre seguivo il racconto, mi scorrevano davanti a gli occhi i dati di uno studio dell’OSCE sull’analfabetismo funzionale in 24 Paesi. La ricerca aveva l’obiettivo di misurare le competenze linguistiche, matematiche e informatico/tecnologiche della popolazione di età compresa tra i 16 e i 65 anni. Lo sconfortante risultato è che circa i due terzi degli adulti italiani sono al di sotto della soglia di sufficienza per le competenze di base fissata dall’indagine (dal sito Quale Scienza Quale Educazione).
Se questa è la situazione reale, la sola domanda sensata è: a che serve diffondere informazioni sensibili o produrre contenuti di qualità se la maggior parte delle persone non è in grado di capirli?
È ovvio che in queste condizioni il populismo renziano dei 160 caratteri di twitter e gli ammiccamenti patinati di Barbara D’Urso o le stupidaggini nazionaliste creano consenso sociale.
Per reagire a tutto ciò la base può essere solo trovare un modo per diffondere tra la gente gli strumenti per decodificare ciò che vede, sente e legge. Senza questo il resto non serve.