Choose a job you love, and you will never have to work a day in your life

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Jocelyn Bell Burnell era studentessa all’università di Cambridge nel 1967 quando scoprì e studiò la prima pulsar, un particolare tipo di stella che ruota velocemente su se stessa emettendo un forte campo magnetico. La scoperta era così importante che fece vincere il premio Nobel… al suo professore!

Un tale sopruso oggi provoca scandalo e indignazione. Che ci sia di mezzo un premio Nobel rende la prepotenza eclatante, e che i protagonisti siano un professore (maschio e adulto) e una studentessa (giovane e femmina) sottolinea il divario tra generi in quanto a occupare posizioni di potere.

Eppure questa storia non stupisce chi conosce l’ambiente universitario. Non c’è bisogno di premi Nobel. Avviene centinaia di volte che il lavoro non venga riconosciuto, che un professore faccia sciacallaggio del frutto del lavoro di uno studente, di un dottorando, di un ricercatore precario. Storie di tutti i giorni che non fanno notizia. Spallucce.

Pochi giorni fa la scoperta di Bell Burnell è stata finalmente riconosciuta e premiata con un assegno di più di 2 milioni di sterline. Ma la vera notizia è che Jocelyn, anziché intascarsi il premio e spenderselo per il suo laboratorio, ha destinato la somma a borse di studio per donne, minoranze e rifugiati politici. Una nobile scelta che alza Bell Burnell ben al di sopra di buona parte della comunità accademica, adesso anche per le sue eccezionali qualità umane oltre che scientifiche.

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Una scelta in controtendenza quella di Jocelyn, proprio adesso che la politica dei finanziamenti alla ricerca premia pochi ricercatori “meritevoli” con grandi onori ed enormi somme di denaro. Denari che in buona parte vengono utilizzati per pagare un esercito di dottorandi e ricercatori precari. Il mondo accademico, che spesso viene sbeffeggiato per la sua arretratezza medioevale (non a caso si parla di baroni universitari) pare sia invece all’avanguardia in quanto a tecniche di sfruttamento della forza lavoro intellettuale.

L’organizzazione del lavoro accademico segue uno schema fin troppo chiaro. I posti di lavoro a tempo indeterminato, che garantiscono un minimo di stabilità e sicurezza, sono riservati ai “research leaders”, ovvero a coloro che sono in grado di accaparrare soldi per la ricerca e gestire il lavoro di dottorandi e ricercatori precari. A questi ultimi sono invece riservati contratti saltuari e a tempo determinato. Persone in grado di svolgere il lavoro di ricerca abbondano (grazie all’accesso di massa all’istruzione superiore, e a un mercato del lavoro veramente globalizzato), ma i fondi per la ricerca sono volutamente pochi e la competizione è feroce. Per questo motivo il lavoro produttivo vale sempre di meno, e la capacità predatoria di raccogliere denaro e sfruttare il lavoro altrui viene invece valutata sempre di più.

Una tale dinamica ha sfondato facilmente nel mondo accademico, già caratterizzato da rapporti di lavoro di stampo medioevale, dove ha trovato una tripla sponda di appoggio 1) nell’ego iper-trofico dei professori, 2) nella passione degli studenti, e 3) nell’amministrazione che si è trovata a gestire la baracca in mezzo a privatizzazioni e mercatizzazione delle università. Applicato nel mondo del lavoro al di fuori dell’università, vuol dire assunzione solo per i manager, contratti precari per tutti gli altri.

 

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Una modesta proposta

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Secondo una stima dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) solo nel 2015 poco meno di 4 mila persone sono morte nel tentativo di attraversare il mar Mediterraneo. Eppure le difficoltà, i costi e i pericoli non scoraggiano i migranti che continuano a mettersi in viaggio. La domanda che il buon cittadino medio europeo si pone è chi glielo fa fare a questi di mettere a rischio la propria vita, e spesso quella dei propri figli, attraversando il mare aperto su imbarcazioni a dir poco inadeguate. Il cittadino europeo, carico di buoni sentimenti e abituato a praticare il buon senso delle piccole faccende quotidiane, non capisce in quanto ignorante dei più elementari rudimenti di statistica. Sempre secondo l’OIM e sempre nel 2015 (un anno in cui il mar Mediterraneo è stato particolarmente trafficato) il totale dei migranti che hanno attraversato il mare nostrum è stato poco meno di un milione. Quattro mila morti su un milione di persone fa una probabilità dello 0.4% di morire in mare. Questa probabilità va confrontata con quella di morire restando nel paese di provenienza. A titolo di esempio, nella sola Siria si stima che la guerra civile abbia almeno 250 mila morti in 5 anni. La Siria nel 2011 aveva circa 20 milioni di abitanti, di cui circa 4 milioni hanno abbandonato il paese come rifugiati. Si ha quindi una media di 250 mila morti su una popolazione di 16 milioni, che fa una probabilità di morire di circa 1,6%. In base a questo calcolo molto approssimativo (non abbiamo considerato che alcune città sono più pericolose di altre), la probabilità di morire restando in patria è almeno quattro volte più grande di quella di morire attraversando il Mediterraneo. Questo dovrebbe dare un’idea del perché in tanti decidono di lasciare tutto e rischiare il mare.

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Abituati come siamo a ragionare in termini economicistici, dovremo escogitare una maniera per disincentivare le persone a migrare in Europa. Per fortuna la statistica viene in nostro aiuto. Se la probabilità di morire in Siria è dello 1.56%, allora bisogna fare in modo che la probabilità di morire cercando di recarsi in Europa diventi maggiore. In questo modo, ogni onesto siriano avrà una maggior convenienza a restare in patria. Tra le proposte che sono state fatte in anni passati, va ricordata quella di sparare sui barconi. In linea del tutto teorica, basterebbe sparare a 10 persone su mille per alzare a 1,4% la probabilità di morire durante la traversata in mare. (Come scegliere le 10 persone a cui sparare non è un problema che tratteremo in questa sede, sebbene sia un tema ampiamente sviluppato dai teorici della rappresaglia.) Tali proposte, tuttavia, fanno parte di una fase immatura in cui si rispondeva in maniera emotiva ai problemi dell’immigrazione. Più recentemente, si preferisce rinchiudere i rifugiati in zone circoscritte per un periodo di tempo indeterminato. Esempi sono i campi profughi, campi di accoglienza, campi di prigionia, CIE, CARA, etc. Ultimamente, gli accordi dell’Europa con la Turchia, fanno di quest’ultima un enorme carcere in cui rinchiudere i rifugiati. Ciò ricorda la sostituzione della pena di morte con il carcere a vita. Se uccidere in mare aperto è pratica barbara che indigna il buon cittadino europeo, affidare il lavoro sporco a carcerieri zelanti e ben pagati non solo risulta moralmente accettabile ma anche indice di civiltà e progresso.

Gomorra e il professor Bellavista

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Ma tutto sommato, non è che fate ‘na vita ‘e merda? Sì, fate pure i miliardi, guadagnate, però vi ammazzate tra di voi. E poi, anche quando non vi ammazzate tra di voi ci sono le vendette trasversali. Vi ammazzano le mamme, le sorelle, i figli. Ma vi siete fatti bene i conti? Vi conviene?

Così diceva il professor Bellavista a un camorrista autorevolmente interpretato da Nunzio Gallo. Coerentemente con quanto insegnava ai suoi studenti sgangherati, Bellavista preferisce vivere accontentandosi di poco, purché questo poco ci sia dato il più presto possibile. Il professore è un epicureo. Non a caso proprio a Napoli, a Posillipo, aveva sede la scuola di Epicuro.

Il pensiero di Epicuro mantiene il suo fascino durante i secoli e i millenni, tuttavia essere epicurei era decisamente più facile negli anni ’80, quando lo stato sociale, sebbene fosse iniziato il declino, ancora permetteva a tanti di vivere una vita tranquilla e senza grossi rischi, sebbene sobria.

Oggi le cose sono un po’ diverse. La social-democrazia è morta e il canto funebre recita: “col cazzo che vi accontentate del poco-purché-subito! O puntate in alto oppure vi schiacciamo come mosche sotto la mano invisibile del libero mercato”. Il canto delle prefiche è quello degli stoici come Cazzaniga, che si alza alle 6.30 di mattina perché vuole diventare direttore generale dell’Alfa Romeo. E’ l’etica borghese del sacrificio e della meritocrazia, imposta con la spada del debito e dell’austerity da popoli conquistatori venuti dal nord.

Il messaggio forte di Gomorra-il libro era proprio questo. Le mafie non sono che grandi multinazionali che realizzano profitti enormi spremendo le vite dei giovani delle periferie del sud e inquinando a morte le risorse naturali. I ragazzini crescono velocemente, vivono a mille, e muoiono molto prima. I profitti vengono riciclati a Milano, Londra, New York, lontano da dove si versa il sangue e si sversa il percolato.

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Tra meno di un mese andrà in onda la seconda stagione di Gomorra-la serie. Abbiamo tutti la bava alla bocca per sapere che faranno Ciro Di Marzio, Genny, Don Pietro Savastano, Salvatore Conte. Eroi negativi, gente ‘e merda, ma pur sempre eroi. Finiranno morti ammazzati come cani. Ma finché sono vivi, vivono vite emozionanti, scopano, spendono, comandano.

Tutti gli eroi uccidono e tutti gli eroi alla fine muoiono uccisi. Achille muore per la freccia lanciata da un coglione qualsiasi. Beowolf muore dissanguato e avvelenato dalle ferite del drago: ‘na fine ‘e merda. Il successo dei film Hollywoodiani e delle serie televisive dimostra semplicemente che, oggi come ai tempi di Omero, abbiamo bisogno di eroi.

Ma abbiamo bisogno soprattutto di eroi che si oppongano alla discesa degli invasori del nord. Eroi che non siano pedine di un gioco più grande di loro, di un sistema che li tollera perché utili a fare il lavoro sporco dell’accumulazione originaria, a conquistare e distruggere territori.

 

The theory of everything

“Every theory of the world that is at all powerful and covers a large domain of phenomena carries immanent within itself its own caricature. If it is to give a satisfactory explanation of a wide range of events in the world in a wide variety of circumstances, a theory necessarily must contain come logically very powerful element that is flexible enough to be applicable in so many situations. Yet the very logical power of such a system is also its greatest weakness, for a theory that can explain everything explains nothing. It ceases to be a theory of the contingent world and becomes instead a vacuous metaphysics that generates not only all possible worlds, but all conceivable ones. The narrow line that separates a genuinely fruitful and powerful theory from its sterile caricature is crossed over and over again by vulgarizers who seize upon the powerful explanatory element and. by using indiscriminately, destroy its usefulness. In doing so, however, they reveal underlying weakness in the theory themselves, which can lead to their reformulation.

This element of immanent caricature is certainly present in three theoretical structures that have had immense effects on twentieth-century bourgeois thought: Marxism, Freudianism, and Darwinism. Marx’s historical materialism has been caricatured by the vulgar economism that attempts to explain the smallest detail of human history as a direct consequence of economic forces. Freud’s ideas of sublimation, transference, reversal, and repression have been interpreted to explain any form of overt behavior as a direct or transformed manifestation of any arbitrary psycological cause. In Darwinism the element that is both central to the evolutionary world view and yet so powerful that can destroy Darwinism as a testable theory is adaptation.”

Richard Levins and Richard Lewontin, The Dialectical Biologist

Discussioni extra-uterine

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La confusione regna sovrana. Prima la legge Cirinnà, adesso la Gravidanza per Altri. Si mischiano cose e pratiche diverse, si agita bene aggiungendo tabù e abbondanti dosi di ipocrisie italiane. Il risultato è un composto velenoso dannoso per tutti. Cerchiamo di fare chiarezza.

Volgarmente noto come “utero in affitto”, il nome più politicamente corretto è Gravidanza per Altri (gpa). Si usa anche il termine gravidanza surrogata, da cui anche madre surrogata. Poi, ovviamente usare un nome o un altro non cambia la realtà dei fatti.

In vari paesi del mondo esistono leggi, pratiche e situazioni diverse, che è necessario distinguere.

Esiste una cosa chiamata “gpa altruista”, in cui una donna si offre in maniera del tutto volontaria di portare a termine gestazione e parto con un ovulo donato e inseminato da altri. Si tratta di un favore per cui non è previsto compenso. Per questo si chiama altruistica. L’idea è che una donna aiuta volontariamente una coppia che ha dei problemi ad avere un figlio. Questa pratica è legale nel Regno Unito, in Canada e in altri paesi.

Esiste anche una cosa chiamata “gpa commerciale”, in cui è previsto uno scambio economico e un tariffario ben preciso. La madre surrogata riceve un compenso. Poiché compenso sembra una parola brutta, si parla di benefit, compensazione, o altri termini. La gpa commerciale è legale in USA, Russia, India e altri paesi.

Situazione nel mondo: https://en.wikipedia.org/wiki/Surrogacy

Un esempio di gpa altruistica nel Regno Unito: http://www.surrogacyuk.org

Un esempio di gpa altruistica in Canada: http://www.surrogacy.ca

Un esempio di gpa commerciale in USA: http://www.circlesurrogacy.com

Sulla situazione in India: http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-india-34876458

Questo per quanto riguarda la gpa da un punto di vista tecnico e normativo, e da parte della madre surrogata.

Poi c’è il punto di vista dei genitori beneficiari. Anche qui c’è da fare differenze. In alcuni paesi è permesso solo a coppie eterosessuali, in altri anche a coppie omosessuali.

Fare di tutt’erba un fascio non giova a capire le cose e a sviluppare un dialogo costruttivo. La questione va analizzata punto per punto in maniera non ideologica.

Anche se in passato non è stato oggetto del dibattito pubblico in Italia, esiste già da anni un movimento di persone che vivendo in un paese che non permette una certa pratica, si sposta in un altro paese (cd turismo riproduttivo). Questo è ovviamente inevitabile se non si vuole restringere la libertà di movimento delle persone. Sarebbe quindi saggio che un paese come l’Italia non vietasse tout court ogni forma di gpa su basi puramente ideologiche, facendo finta di non vedere il problema, ma piuttosto permettesse questa pratica in una forma determinata da regole precise. (Ahinoi! mi rendo conto di quanto sia utopistico questo scenario, in un paese in cui applicare la legge 194 è difficile se non impossibile!) Regole chiare sono a protezione dei cittadini e soprattutto del nascituro, riducono i rischi fisici, sociali, sanitari e legali dovuti agli spostamenti internazionali.

http://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/revealed-surrogate-births-hit-record-high-as-couples-flock-abroad-9162834.html

5 minuti d’odio (al family day)

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Lo sai che significa gay? Significa “allegro”! Sì, perché quelli lì sai come si divertono a fare le schifezze maschi coi maschi e femmine con le femmine? E va bene, contenti loro, purché non lo facciano davanti a me o ai miei figli. Ma la sai la novità? Adesso dice che vogliono anche sposarsi. E no, sposarsi è per persone serie. Non è una cosa per divertirsi. Lo so bene io che ho fatto una vita di sacrifici: pulisci casa, cucina, accompagnali a scuola, vai a lavorare, valli a riprendere e portali a calcio, in piscina. Tutto da sola! Prepara la cena a loro e a loro padre, e poi lava, fai la lavatrice e stira. Tutti i giorni per 30 anni. Continuate a divertitevi voi, ma non vi permettete di parlare di matrimonio. Che quella è una cosa seria, una cosa santa, lo dice anche Papa Francesco. Eh quant’è bravo, non come quell’altro!

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Trent’anni di matrimonio. Una prigione. Se la uccidevo quando eravamo fidanzati adesso ero già libero. E invece.. sono ancora costretto a sentire il suo fiato sul collo ogni mattina. Trent’anni di lavoro per pagarsi la casa, le vacanze, la palestra ai bambini. Questo è il matrimonio, che affare che ho fatto, non mi ci far pensare. Piuttosto, guarda a quella, guarda che culo che c’ha! Mmm, lo sai chi mi ricorda? Sì, certo, poi te lo do il numero, anzi, magari qualche volta ci andiamo insieme! Ci organizziamo con lei e un’amica sua che c’ha un cazzo che non ti dico! Scopiamo tutti e quattro, le facciamo scopare anche tra di loro. Ma hai sentito, adesso quelle si vogliono pure sposare! Ahah! Ridicoli, continuassero a fare le puttane!

Clima, MIT e democrazia

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“Sì, il pianeta è andato distrutto. Ma per un momento magico generammo tanti tanti profitti per gli azionisti.”

 

Tutto ciò che oggi sappiamo sui cambiamenti climatici (dinamiche di enorme complessità su cui abbiamo ancora tanto da imparare) si può a buon diritto includere nella lista dei grandi successi della scienza. Al contrario l’inerzia con cui ne stiamo accettando il corso è una delle più grandi vergogne dell’umanità.

Si è svolta nei giorni scorsi a Parigi la COP21, ovvero la 21-esima conferenza sui cambiamenti climatici. Scopo della conferenza è, o almeno dovrebbe essere, raggiungere un accordo per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici (purtroppo abbiamo già da tempo superato il punto di non ritorno, ora si tratta di contenere i danni). Il punto fondamentale delle discussione, che mai viene affrontato alla radice, è ridurre le emissioni nell’atmosfera di tutti quei gas considerati responsabili dell’effetto serra. Sono 21 anni che delegati da tutto il mondo si riuniscono e discutono. Risultati: zero.

In questi stessi giorni un folto gruppo di studenti e ricercatori del MIT sta protestando con un civilissimo sitin che dura da più di 50 giorni (50!). Protestano contro le decisioni prese dal rettore Leo Rafael Reif riguardo la posizione del MIT nei confronti dei cambiamenti climatici.

Facciamo un salto indietro di circa 3 anni. Alcuni studenti del MIT rispondono all’appello della campagna “Fossil Free” che chiede di disinvestire dalle maggiori compagnie petrolifere o comunque legate ai combustibili fossili (petrolio, carbone, gas naturale, qui la lista delle top-200 compagnie). E’ un obiettivo ambizioso e molto concreto: levare il sostegno finanziario a chi causa l’effetto serra. Per il MIT si tratta di parte di un patrimonio finanziario che ammonta complessivamente a più di 13 miliardi di dollari.

Gli studenti fondano il gruppo “Fossil Free MIT”, raccolgono più di tremila firme, organizzano un’efficace campagna di sensibilizzazione. La direzione del MIT viene messa alle strette e accetta di far partire durante la primavera del 2015 una grande discussione che coinvolgerà tutta la comunità universitaria per decidere quali azioni il MIT debba prendere nei confronti dei cambiamenti climatici.

Al di là del peso finanziario del MIT, notevole ma trascurabile nell’economia petrolifera, ciò che conta è il peso simbolico, politico e morale. L’esempio di un’istituzione tanto importante. Durante la primavera di quest’anno si svolgono eventi, seminari, tavole rotonde. Eminenti scienziati vengono chiamati a prendere posizione. Noam Chomsky, insieme a molti altri, si schiera a favore del disinvestimento.

Scopo del rettore, evidentemente, è quello di imbrigliare le energie degli studenti e pilotare lo scontro politico verso acque per lui più sicure. Viene quindi formata una commissione il cui compito è stilare un rapporto che contenga delle raccomandazioni – non vincolanti! – da sottoporre alla direzione del MIT.

Qualche mese fa la commissione presenta nel suo rapporto una versione “ammorbidita” delle richieste iniziali degli studenti, suggerendo di limitare il disinvestimento alle compagnie che di occupano di carbone e sabbie bituminose, nonché alle società che negano la causa antropica dei cambiamenti climatici. Non vengono considerate le compagnie petrolifere, ma per lo meno la commissione appoggia, se pur in maniera parziale, l’idea forte del disinvestimento. Nonostante tutto è una sostanziale vittoria per il movimento degli studenti.

Un finale che non piace al rettore Rafael Reif, il quale decide di cancellare con un tratto di penna mesi di democratico confronto e di ignorare le raccomandazioni della commissione. Il 21 ottobre la direzione del MIT comunica che continuerà a investire in tutte le società legate ai gas serra come ha sempre fatto.

Il MIT continuerà a ricevere finanziamenti da ExxonMobil, BP, Chevron, Eni, Saudi Aramco, Shell, Statoil, Total, etc. ExxonMobil, che l’anno scorso ha firmato un contratto di 25 milioni di dollari con il MIT, potrà continuare a recitare la parte dell’azienda generosa e democratica che finanzia la ricerca scientifica.

Sono passati 50 giorni e gli studenti sono ancora lì, seduti fuori la stanza del direttore.

Onore a questi studenti. Essi sono un esempio per tutti noi.

 

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Thanks for waiting

“Thanks for waiting!”

E’ quello che ti dicono in Inghilterra gli impiegati, di società private e pubbliche, dopo che hai aspettato il tuo turno, in coda o al telefono, per un tempo interminabile.

Non suona strano? Uno si aspetterebbe di sentirsi dire “ci scusiamo per l’attesa” e invece ti dicono “ti ringraziamo per l’attesa”. Una bella presa per il culo, si chiama corporate policy.

Tutto il tempo che ti fanno aspettare, in coda a uno sportello, a compilar moduli, o al telefono per parlare con un operatore che non sia una voce registrata, è tempo di lavoro non retribuito. Più le attese sono lunghe, più l’azienda risparmia sul personale. A pagare sei tu, con il tempo e la salute che perdi ad aspettare.

Ah quando i benpensanti cantavano in coro: “privatizziam: così non farem più la fila alla posta!” Vuoi mettere la soddisfazione, dopo una fila di un’ora, di sentirsi dire “grazie per l’attesa”?

Bailout Referendum

It is hard to advise Greeks how to vote on 5 July. Neither alternative – approval or rejection of the troika’s terms – will be easy, and both carry huge risks.

A yes vote would mean depression almost without end. Perhaps a depleted country – one that has sold off all of its assets, and whose bright young people have emigrated – might finally get debt forgiveness; perhaps, having shrivelled into a middle-income economy, Greece might finally be able to get assistance from the World Bank. All of this might happen in the next decade, or perhaps in the decade after that.

By contrast, a no vote would at least open the possibility that Greece, with its strong democratic tradition, might grasp its destiny in its own hands. Greeks might gain the opportunity to shape a future that, though perhaps not as prosperous as the past, is far more hopeful than the unconscionable torture of the present.

I know how I would vote.

(Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’economia)

http://www.theguardian.com/business/2015/jun/29/joseph-stiglitz-how-i-would-vote-in-the-greek-referendum