E la sinistra dove cazzo sta?

reclaimUn po’ di storia: “I miei consulenti legali mi diedero un parere favorevole sulla mia esclusiva competenza, come ministro del Tesoro, di ridefinire i termini delle disposizioni date alla Banca d’Italia circa le modalità dei suoi interventi”. A parlare è il democristiano di ferro Beniamino Andreatta. L’oggetto della discussione è il divorzio tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia. Misura voluta nel 1981 per arginare l’inflazione derivante dagli choc petroliferi degli anni ’70.

Fino ad allora, la Banca d’Italia era un ramo del Tesoro, quindi del Governo, e aveva l’obbligo di finanziare il debito pubblico attraverso una opportuna politica monetaria. Da dopo il divorzio (come successivamente stabilito dal Trattato di Maastricht) il finanziamento del debito pubblico avviene esclusivamente con la vendita di Titoli di Stato sui mercati finanziari.

In sintesi: col divorzio, la Banca d’Italia, passa da un controllo democratico ad un controllo tecnico. Questa riduzione di democrazia accresce enormemente il potere delle banche.

Andreatta aggiunse: “Il divorzio non ebbe allora il consenso politico, né lo avrebbe avuto negli anni seguenti”.

Alberto Bagnai, nel libro Il tramonto dell’euro, dimostra come, a seguito della separazione tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia, il debito pubblico italiano sia in continuo aumento, nonostante una continua riduzione della spesa pubblica primaria (per stipendi, investimenti, manutenzione, etc.). Questo aumento deriva dalla crescita degli interessi sul debito.

Morale della favola: la politica liberista (che accomuna destre, popolari e socialisti), di tagliare la spesa pubblica per ridurre le tasse, si scontra con la realtà dei fatti. Il debito sale nonostante la diminuzione della spesa, provocando un aumento delle tasse. Paghiamo sempre di più per restituire gli interessi sul debito.

E la sinistra dove cazzo sta? Riportare le banche centrali (BCE compresa) sotto il controllo dell’Esecutivo deve essere il primo obiettivo di politica economica di un qualsiasi partito che voglia definirsi di sinistra. Tutto dipende da questo.

Cos’è la destra? Cos’è la sinistra? (…e i neo-borbonici)

Capitalism-neob

Continuando il discorso sulla fine delle ideologie, i due luoghi comuni più in voga sono la fine della dicotomia destra-sinistra e fascismo-antifascismo. Riporto qui due link con contributi fondamentali, che danno (tra le altre cose) delle indicazioni su cos’è destra e cos’è sinistra e cos’è fascismo e antifascismo, andando un po’ oltre le distinzioni basate sul taglio di capelli o la faccia che c’hai disegnata sulla maglietta.

[Il più odiato dai fascisti. Conversazione su Furio Jesi, il mito, la destra e la sinistra]

[Se l’antifascismo riconosce autoritarismo solo dove c’è la svastica]

WM1 riporta delle definizioni di “destra” e “sinistra”, tanto semplici quanto efficaci, eccole:

la distinzione primaria tra sinistra e destra è proprio questa:

per la sinistra ogni società è costitutivamente divisa al proprio interno, perché ci sono interessi contrapposti e contraddizioni intrinseche. I conflitti principali avvengono lungo le linee di queste contraddizioni, che sono principalmente di classe e di genere, e derivano dai rapporti di proprietà (se ci sono i poveri è perché ci sono i ricchi), di produzione (gli sfruttatori non fanno gli interessi degli sfruttati), di “biopotere” (esistono dispositivi che favoriscono i maschi a scapito delle femmine) etc. Da questa premessa generale, che vale per tutta la sinistra, derivano numerose visioni macrostrategiche: socialdemocratica, comunista, anarchica… Tutte si basano sulla convinzione che la società sia in partenza divisa e diseguale e le cause della diseguaglianza siano endogene.

per la destra, invece, la nostra società era un tempo armoniosa e concorde, ma oggi non lo è più per colpa di agenti esterni, intrusi, nemici che si sono infilati e confusi in mezzo a noi e ora vanno ri-isolati ed espulsi. A seconda dei momenti, corrispondono all’identikit il musulmano, l’ebreo, il negro, lo slavo, lo zingaro, il terrone, il comunista che tifa per potenze straniere, il “pervertito” (da dove saltano fuori tutti ‘sti froci? Una volta mica c’erano!), la “Casta” intesa come altro da noi, la finanza ridotta ai complotti di “speculatori stranieri”, ”Roma” etc.

Uno dei fenomeni politici attuali (che forse dovrei semplicemente ignorare, ma non ci riesco) è quello dei movimenti meridionalisti-indipendentisti, che per semplicità chiamerei neo-borbonici. Il loro è un esempio lampante di discorso di destra. Essi infatti sostengono che un tempo il meridione era una società “armoniosa e concorde”, che poi arrivarono gli “agenti esterni” — i piemontesi —, che quindi vanno espulsi rifondando in qualche forma lo stato delle due-sicilie.

Tra i sostenitori di questi movimenti e partiti ci sono senz’altro persone che in buona fede credono che un altro stato, con altro nome e altra capitale possa essere la soluzione alla questione meridionale. Con un nuovo stato ci sarebbero sicuramente nuovi posti di lavoro nella burocrazia, nuove poltrone su cui sedersi, nuovi culi che si adagiano sul velluto. Per questi deratani, in effetti, sarebbe una svolta positiva. Diverso è il discorso che deve fare chi ha a cuore le sorti delle classi basse, dei precari, dei lavoratori, dei contadini: questa non è la loro lotta!

Già nel risorgimento in buona fede molti hanno fatto lo stesso errore, hanno seguito il mito di Garibaldi credendo che lo stato dei piemontesi potesse portare la libertà che i borbone negavano. A loro spese hanno scoperto che la brutalità del potere è sempre la stessa anche se cambia nome e bandiera. Non rifacciamo ora gli stessi errori in senso opposto, non insceniamo una farsa dopo la tragedia.

Lo stato è una macchina manovrata dalle classi dominanti — il famoso 1% — per controllare e reprimere le classi subalterne. Quale sia la bandiera, il nome e la capitale dello stato che ci opprime, poco conta. Al cavallo da soma non importa di che colore sia la frusta che lo colpisce. Mettiamo le nostre forze e la nostra rabbia al servizio di un battaglia più importante, quella contro il dominio dell’uomo sull’uomo, e quindi contro ogni stato. La lotta delle classi subalterne è quella di distruggere gli stati, non di crearne di nuovi.